Una significativa novità introdotta dalla riforma del lavoro all’esame del Parlamento attiene al fatto che – ove si tratti del primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a sei mesi non è più necessaria l’indicazione delle causali, ossia delle ragioni tecniche, organizzative, produttive ovvero sostitutive. Si badi bene che tale eccezione, sicuramente molto interessante per i datori di lavoro, è soggetta al duplice requisito della durata massima (pari a 6 mesi) e del fatto che si tratti del primo contratto. Questo periodo, con contratto a termine ovvero con contratto di somministrazione, è utile ai fini del computo periodo massimo di trentasei mesi ove avente ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti. Inoltre, ai sensi del comma 2 bis, di nuovo inserimento nell’ambito dell’articolo 4, esplicitamente prevede che il contratto a tempo determinato di cui sopra non può essere oggetto di proroga.

Altra significativa novità riguarda la continuazione. Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno (prima solo 20) in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il cinquantesimo giorno (ora 30) nel caso di contratto con durata maggiore, esso si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. In entrambe le ipotesi, il datore di lavoro ha l’onere di comunicare al CPI, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, che il rapporto continuerà oltre tale termine, indicando altresì la durata della prosecuzione. Le modalità di comunicazione saranno fissate con decreto del Ministero del lavoro.

Meno gradite ai datori, invece, certamente risulteranno le nuove disposizioni in tema di successione di contratti a termine tra le medesime parti: qui i termini si allungano, salendo da 10 e 20 giorni, rispettivamente per contratti a termine di durata fino a 6 mesi o di durata maggiore, a 60 e 90 giorni, con evidente ostacolo al reimpiego del medesimo lavoratore in periodi di tempo ravvicinati. In caso di violazione dell’intervallo minimo, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

Molto discussa è poi l’ulteriore misura che viene introdotta e che prevede – per tutti i contratti non a tempo indeterminato – l’aumento dell’aliquota contributiva pari a 1,4 punti percentuali, integralmente a carico del datore di lavoro. Con riferimento al contratto a termine, tale contributo addizionale non si applica ai lavoratori assunti a temine in sostituzione di lavoratori assenti e quelli assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali.

Il contributo addizionale dell’1,4%, nei limiti delle ultime sei mensilità, è restituito, successivamente al decorso del periodo di prova, al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La restituzione avviene anche qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine: tuttavia, in tale ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine.