Una volta compiuta, la scelta di ricevere il pagamento del TFR mensilmente in busta paga è irrevocabile fino a giugno 2018 o all’eventuale licenziamento.
Prima, dunque, di comunicare al datore di lavoro la volontà di ottenere oggi la retribuzione differita piuttosto che momento della cessazione del rapporto di lavoro, ogni lavoratore dovrà tenere presente i sotto elencati TRE punti a sfavore di tale opzione. Vediamoli insieme:
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Tassazione della quota maturanda più elevata: gli importi incassati mensilmente non saranno assoggettati a tassazione separata, ma contribuiranno a determinare l’imponibile fiscale complessivo che nel periodo considerato sarà più elevato e tassato con l’aliquota Irpef ordinaria. Ne consegue che per i redditi più alti la tassazione potrà arrivare al 38% o superare il 40 per cento. Di conseguenza buona parte del Tfr pagato dal datore di lavoro se ne andrà in tasse.
- Riduzione dell’importo complessivo spettante al lavoratore a fine carriera lavorativa: il trattamento di fine rapporto, su base annuale, è pari alla retribuzione diviso 13,5. Tenuto conto che la liquidazione mensile non partirà prima del prossimo mese e terminerà a giugno 2018, il gruzzolo accantonato a fine carriera sarà alleggerito fino a un massimo di 39 mensilità rispetto a chi continuerà ad accantonarlo lasciandolo in azienda godendo, inoltre, della relativa rivalutazione annuale che, per legge, è pari al 75% dell’inflazione più l’1,5% fisso. Non accantonando più il tfr maturando in azienda il lavoratore rinuncia a tale rivalutazione. Inoltre sull’incremento su descritto viene applicata un’imposta fissa del 11%, mentre l’ammontare del TFR complessivamente erogato alla fine del rapporto di lavoro è tassato applicando l’aliquota relativa alla media dei redditi degli ultimi cinque anni, quindi almeno il 23 per cento. Per effetto della rivalutazione annuale, il “buco” sarà più consistente per chi ha davanti ancora molti anni prima della pensione. Se invece che essere lasciato in azienda (o presso il fondo di tesoreria dell’Inps), il trattamento di fine rapporto è conferito a un fondo pensione, il gap potrebbe essere ancora più consistente. In quest’ultimo caso, infatti, la tassazione degli importi liquidati a scadenza oscilla tra il 9 e il 15% in modo inversamente proporzionale agli anni di contribuzione. L’aliquota applicata sulla rivalutazione, invece, è sostanzialmente del 20 per cento. Però proprio la rivalutazione, a differenza del Tfr lasciato in azienda, non è prefissata per legge, ma oscilla in base al rendimento degli investimenti effettuati dal fondo. Quindi può essere minore o maggiore. In quest’ultimo caso, sospendere la contribuzione per un periodo fino a 39 mesi avrebbe effetti più consistenti.
- per i redditi più bassi, l’incremento dell’imponibile fiscale complessivo potrebbe compromettere l’accesso ad alcune prestazioni agevolate, con l’eccezione del bonus da 80 euro, per il quale il Tfr mensile è neutro.
In conclusione: oggi più tasse e domani pensione più bassa.
Secondo alcune simulazioni, infatti, il Tfr in busta paga può erodere (in base ai rendimenti ottenuti e agli anni mancanti alla fine della carriera lavorativa) dal 10 al 30% della pensione complementare che si potrebbe ottenere continuando a versare il trattamento di fine rapporto nel fondo. Quest’ultimo effetto deve essere valutato con attenzione dai più giovani, dato che l’importo della pensione obbligatoria nella maggior parte dei casi sarà circa il 60% dell’ultimo stipendio, con la possibilità però di ridursi anche al 40% in relazione all’andamento della carriera.