Il certificato medico non basta ad attestare l’esistenza della malattia del lavoratore in presenza di altri elementi oggettivi. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione che, con sentenza n. 17113/16, ritorna sulla questione della valenza che assumono i certificati medici quando il dipendente assume una condotta palesemente incompatibile con la malattia accertata dal medico curante.
La credibilità della certificazione medica prodotta dal lavoratore può, quindi, venire meno ogni qual volta esistano elementi di fatto capaci di dimostrare l’inesistenza della malattia o, almeno, la sua inidoneità a impedire la prestazione lavorativa.
La causa in oggetto riguardava un lavoratore licenziato per simulazione fraudolenta di stato di malattia. Nella stessa, il licenziamento era stato intimato in quanto l’azienda aveva accertato che il lavoratore aveva compiuto una serie di azioni e movimenti incompatibili con la lombalgia dichiarata.
Secondo la Corte, se questa può incidere negativamente sul corretto adempimento della stessa, il datore avrebbe piena facoltà di investigare sulla condotta del dipendente estranea allo svolgimento della prestazione lavorativa.
Il datore, quindi, anche se non ha la certezza di un illecito ma solo un semplice sospetto circa la commissione di atti non regolari, può incaricare un’agenzia investigativa di seguire il dipendente assente per malattia al fine di verificare se la certificazione medica inviata per motivare l’assenza sia attendibile oppure no. Tuttavia, il controllo non può essere delegato a soggetti terzi esterni ma spetta direttamente al datore o a un’agenzia investigativa.