Quante volte abbiamo sentito i nostri dipendenti lamentarsi per non aver ricevuto la così detta “pacca sulla spalla” per qualcosa che hanno diligentemente portato a termine nel loro lavoro? Probabilmente non abbiamo mai preso seriamente in considerazione richieste come queste, ignorando fino ad oggi l’impatto emotivo e motivazionale che può avere su un prestatore di lavoro un bel “Bravo, ben fatto!” detto da un capo o da un collega.
I dipendenti hanno bisogno di sentirsi vere e proprie risorse umane su cui poter contare ed investire, in grado di contribuire attivamente con le loro capacità lavorative al buon andamento della struttura aziendale. Hanno bisogno di sentirsi utili al raggiungimento degli obbiettivi dell’azienda, e di sentirsi pertanto gratificati per l’impegno che investono durante l’orario di lavoro. Tale gratificazione spesso non ha niente a che vedere con l’aspetto economico del rapporto di lavoro, ma riguarda i suoi aspetti relazionali, il bisogno di ogni individuo, come uomo prima e come lavoratore poi, di essere “visto”. Sul posto di lavoro, ma anche tra amici e familiari, il “complimento” è diventato ormai una merce rara; al contrario è l’esercizio della critica ad andare per la maggiore, come se fosse più semplice riconoscere i difetti e le manchevolezze altrui piuttosto che le loro virtù o abilità.
Tanto le critiche e demeriti quanto le gratificazioni e le lodi rappresentano ciò che il famoso psichiatra canadese Eric Berne, fondatore della teoria della personalità dell’analisi transazionale, definisce “carezze”: “qualsiasi atto che implichi il riconoscimento della presenza dell’altro”. La carezza è rappresentata, dunque, da qualsiasi forma di riconoscimento, azione o parola, positiva o negativa, che significhi “so che ci sei”. Entrambe, quindi, soddisfano il bisogno vitale di ogni uomo di essere riconosciuto. La differenza sta nel fatto che le “carezze positive” (che nella forma verbale sono rappresentate dalle lodi, o dai complimenti; mentre nella forma non verbale consistono in sorrisi e cenni affettuosi) regalano una sensazione di benessere, di vitalità, di importanza. La carezza positiva ha il potere di far sentire riconosciuti, valorizzati, apprezzati e spinti a fare meglio chi la riceve. Insomma esse comunicano il messaggio: TU SEI OK.
Le c.d. carezze “negative” servono allo stesso modo a soddisfare la fame di riconoscimento di ognuno; per tale motivo chiunque, più o meno consapevolmente, preferisce ricevere un critica o una mortificazione piuttosto che imbattersi nell’indifferenza del proprio interlocutore. Ma a differenza delle prime, le carezze negative comunicano il messaggio: TU NON SEI OK, il che si traduce in un abbassamento dell’autostima e del livello di concentrazione sul posto di lavoro, nel maggior assenteismo, nella mancanza di entusiasmo e partecipazione alle iniziative aziendali del destinatario delle stesse.
“Saper accarezzare” e “farsi accarezzare” sono arti complicate ma essenziali per migliorare la qualità della vita di ogni individuo ed in qualsivoglia contesto sociale; un percorso di counseling ad hoc può risultare molto utile per imparare a massimizzare il benessere proprio e degli interlocutori nel corso di scambi relazionali di qualunque genere: di amicizia, di coppia e di lavoro.