Gli usi aziendali legati alla modalità di espletamento della prestazione lavorativa hanno una rilevanza che non è condizionata al richiamo da parte di disposizioni di legge o di contratto collettivo. Gli usi aziendali, pertanto, non si inseriscono nel contratto collettivo ma, ai sensi di quanto previsto dall’alrt. 1340 c.c. e salvo contraria volontà delle parti, nel contratto individuale integrandone il contenuto e restando insensibile alle eventuali successive modificazioni peggiorative disposte da pattuizioni collettive nazionali o aziendali, come pure, a maggior ragione, da disposizioni del datore di lavoro.
Se, ad esempio, all’interno di una struttura organizzativa aziendale si fosse consolidato negli anni l’uso di anticipare l’orario di fine turno o posticipare l’inizio turno uniformemente di 15 minuti per tutti i lavoratori che prestano attività lavorativa all’interno di un determinato reparto, in quanto uso negoziale avrebbe avuto la stessa efficacia dei contratti collettivi, sicché il datore di lavoro avrebbe avuto la facoltà di farne cessare unilateralmente l’efficacia, mediante recesso, anche per facta concludentia.
Lo chiarisce la suprema Corte di Cassazione che con sentenza n. 18780 del 5 settembre 2014 stabilisce che “in presenza di un uso aziendale legato alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa (…) deve escludersi che il datore di lavoro possa incidere unilateralmente sui diritti acquisiti dal lavoratore per effetto dello stesso, a meno che non sia intervenuta una modificazione dell’organizzazione del lavoro, che, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, abbia fatto venir meno il presupposto di diritto”.