La riforma Fornero aveva stabilito che i contratti di lavoro a chiamata stipulati precedentemente alla data del 18.7.2012 e che non siano compatibili con il nuovo quadro normativo cessavano di produrre effetti decorsi 12 mesi dall’entrata in vigore della legge di Riforma.

In sostanza, a far data dal 19.7.2013, i contratti di lavoro intermittente (sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato) non conformi alle condizioni introdotte dalla Riforma Fornero si sarebbero ritenuti cessati ex lege.

Il decreto legge appena varato dal Governo ha apportato ulteriori aggiustamenti alla disciplina del lavoro intermittente.

Tra questi la previsione che i contratti di lavoro già in corso alla data di entrata in vigore della legge 92/2012 (18 luglio 2012) manterranno la loro efficacia fino al 1° gennaio 2014, andando oltre il termine di un anno originariamente previsto nella riforma Fornero. Le eventuali prestazioni rese dopo la citata data, secondo il Ministero, saranno considerate irregolari, vale a dire “in nero”, con le relative conseguenze sanzionatorie.

Il DL stabilisce, inoltre, che il ricorso a questa tipologia di impiego di lavoro, data la particolare natura del lavoro intermittente atta a coprire solo fabbisogni episodici, è consentita per un periodo non eccedente le 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. L’obiettivo del limite oggettivo imposto è quello di evitare un uso improprio di tale contratto di lavoro.

In caso di superamento del periodo di utilizzo massimo consentito la sanzione prevista consiste nella trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato.

A rientrare nel computo saranno solo le giornate di effettivo lavoro prestate dopo l’entrata in vigore del decreto stesso.

La nuova normativa rivisita anche le sanzioni introdotte dalla legge Fornero applicabili nel caso di violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva delle prestazioni di lavoro a chiamata.

Infatti, il decreto stabilisce che tali sanzioni amministrative (previste nella misura variabile da 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore) non si applicano se l’azienda è in regola con i contributi dovuti agli enti di previdenza ed assistenza sociale, in quanto la regolarità contributiva fa presumere la mancanza di volontà da parte del datore di lavoro di occultare le prestazioni di lavoro.